Giovanni Manca: alla ricerca del Karma per la squadra

Dai gladiatori più intimi é soprannominato l‘Imperatore Mazinga. Giovanni Manca da Lanusei/Cagliari profuma come una legatoria secolare pregna di preziosi testi sacri, lui che il movimento sardo del football l’ha visto nascere ed evolversi cinque lustri fa. Quello nei confronti dei Crusaders è un amore incondizionato. Riflessioni, punti di vista e ragionamenti di un pioniere del football in Sardegna, attualmente collaboratore di coach Clarkson, in qualità di assistente per i defensive backs.

Come ti sei innamorato della palla ovale?
In maniera del tutto casuale. Era una sera di gennaio del 1983 e con mio fratello Carlo cercavamo qualcosa da guardare in TV. Erano gli inizi di Canale 5 e quel nuovo canale ci incuriosiva (ah a sapere prima i danni che avrebbe provocato!!) per cui girammo là. Andava in onda il Superbowl n° 17, Washington Redskins-Miami Dolphins (27-17 per la cronaca) e rimanemmo incuriositi da questo strano sport, visto, fino ad allora, solo nei film.

Hai resistito sino alla fine?
Beh….mio fratello è andato a letto dopo due quarti, io sono rimasto a guardare quattro ore di partita senza capire granché, ma totalmente affascinato da quel mondo. Da allora non mi sono più staccato da questo sport, cominciando a fare dei camp estivi e poi trasferendomi a Cagliari quando fondarono i Sirbons, la prima squadra sarda.

I Sirbons…altri tempi che sfiorano la leggenda
C’era senz’altro un entusiasmo enorme, anche perchè tutto il movimento del football in Italia era in grande fermento. C’erano 25 squadre in A, 25 in B e 25 in C. Più le giovanili che tante squadre di seria A avevano. La TV trasmetteva regolarmente in chiaro le partite, c’erano due riviste mensili che parlavano di football, fatte molto bene.

Cose favolose che con il tempo non sono durate
Tutto si è calmato, secondo me con l’avvento delle TV a pagamento che hanno preso i diritti sul football della NFL. A Cagliari poi ci si allenava con pochi mezzi, anche senza attrezzature, però la passione era tale da farci dimenticare tutto. Anche le cose spiacevoli ovvio.

A quali cose ti riferisci?
Per fare un campionato ci abbiamo messo tre anni. Tipo che la società che avevamo alle spalle era troppo disorganizzata e che se non fosse stato per il nostro coach di allora probabilmente non saremmo riusciti a fare neanche quel campionato.

Poi arrivarono i Crusaders
Sì, dopo un timido tentativo di rifare i Sirbons, nacquero i Crusaders. Il progetto era molto più serio e ho aderito subito con entusiasmo. Prima come giocatore e poi, con qualche intervallo per motivi di lavoro, come allenatore.

Cos’è il football per te?
E’ sicuramente una parte importantissima della mia vita. A 17 anni sono andato via di casa per venire a Cagliari a giocare con i Sirbons. Per me è sempre stata una cosa molto seria, che non può essere presa solo come un hobby. Almeno se vuoi ottenere determinati risultati, altrimenti…

Altrimenti?
Altrimenti rimane un hobby, appunto.

Lo dice anche l’head coach Clarkson. Ma dove sta la differenza tra hobby e impegno più serio? Qualche esempio?
Per esempio non andando in palestra. Il fisico potenziato è una componente essenziale per fare questo sport. Per esempio non venendo a tutti gli allenamenti possibili o non arrivare puntuali. Queste sono sempre una totale mancanza di rispetto verso i tuoi compagni e verso i tuoi allenatori e una squadra ne risente perchè non riesci a lavorare come vorresti..
Oppure non essere ordinati durante gli allenamenti, perchè una squadra non ordinata in allenamento non lo sarà anche in partita.

Ci sono anche degli altri aspetti che andrebbero monitorati con più attenzione?
Si, per esempio quello relativo al versamento delle quote societarie: non pagandole regolarmente si crea un danno, perchè senza quelle non si può fare nulla.

C’è una soluzione a questo malessere , prima che diventi cronico?
Innanzi tutto deve esserci reciprocità, perchè anche allenatori e società devono dare per primi l’esempio. Quindi arrivare in orario, supportare i giocatori che dimostrano il maggiore impegno ed il maggiore attaccamento alla squadra, aggiornarsi sempre anno su anno, mettere a disposizione gli strumenti per lavorare al meglio.

Un lavoro non semplice ma che dovrebbe affascinare tutti gli appassionati, in teoria.
Volenti o nolenti, giochiamo ai massimi livelli del football italiano, siamo in terza serie, per cui se si vogliono ottenere risultati reiterati nel tempo bisogna essere organizzati e lavorare tutti su un obiettivo comune. E quest’obiettivo secondo me deve essere quello di puntare a vincere il campionato nazionale, quello vero a 11.

E questo non sempre è successo?
Spesso ci si è lasciati trasportare e, oserei dire, ingannare, da qualche piccolo successo ottenuto. Per esempio dopo la vittoria del campionato della Nine League del 2004. Abbiamo pensato di essere arrivati, e ci si è lasciati un po’ andare, con conseguenze che potevano diventare disastrose.

In che senso?
Nel senso che quella vittoria doveva essere utilizzata per organizzarci meglio e crescere ulteriormente, cosa che purtroppo non è accaduta. Forse non sarebbe stato così, ma con il talento che avevamo in squadra all’epoca secondo me potevamo vincere almeno un altro campionato, e porre le basi per una squadra vincente negli anni. Per carità, io ero in squadra anche allora, per cui mi assumo anche io tutte le mie responsabilità.

Quindi cosa sogni per questa squadra?

Un’ organizzazione fatta da persone, ruoli e regole precise e, soprattutto, conosciute e condivise. Dove tutti sanno cosa fare e rispettano le regole che ci si è dati a tutti i livelli e tutti danno il loro contributo nei limiti dei compiti prestabiliti. E’ ovvio che le regole devono anche essere applicate, non sono stabilite.

Il fine qual’è?
Creare una vera identità di squadra, dove chiunque si avvicinerà ai Crusaders saprà che si arriva in orario all’allenamento, si pagano le quote, si gioca solo se te lo meriti e ti sei impegnato. Dove ogni fase della stagione è programmata. Dove ogni singolo allenamento è programmato. Dove i giocatori sanno sempre cosa fare. Dove la società è presente e programma con te la stagione. Dove si hanno sempre gli strumenti adeguati per svolgere un buon allenamento. Dove le squadre giovanili formino non solo dei giocatori di football, ma anche dei veri Crusaders, ossia giocatori che quando passando alla squadra senior sappiano già in quale contesto entreranno e non ne subiranno il trauma perchè sono abituati al sistema.

In soldoni?
Solo così potranno cambiare le persone, ma l’identità di una squadra resta. E allora non vincerai solo una partita o un campionato. Ma sarai sempre ai vertici, campionato dopo campionato.

Ma non siete dei professionisti.
Come dice Ninni (Marongiu, del coaching staff giovanile ndr) non occorre essere professionisti, ma professionali. Non ci vuole molto e si perdono molte meno energie. Se avessimo un’organizzazione maggiormente dettagliata e regole oggettive e condivise si risparmierebbe un sacco di tempo che ciascuno di noi potrebbe dedicare al suo vero lavoro, sia all’interno dei Crusaders, sia quello per il quale si viene realmente pagati.

Ma va poi tutto così male?
Assolutamente no. Ci sono aspetti assolutamente positivi e i vent’anni continuativi di questa squadra lo dimostrano.

Per esempio?
C’è tanto talento in squadra, tante persone entusiaste che ci mettono ogni giorno il loro tempo sia in società che sul campo, un buon clima anche al di fuori dal campo tra i giocatori, allenatori con ottime potenzialità e buona esperienza, gli allenamenti sono un po’ meglio programmati e organizzati rispetto a qualche anno fa. Pur essendo meno addentro alle dinamiche interne quest’ anno, sto notando con piacere che uno sforzo in tale direzione lo si sta tentando.

Andiamo al sodo.

Bisogna tendere sempre a migliorare sempre e non regredire, perchè i tempi del pionierismo stanno finendo e bisogna essere pronti ad affrontare la prossima sfida.

Quale?
Quella di una federazione che si sta organizzando nella maniera corretta. Stanno unificando le varie leghe, il numero delle squadre sta aumentando, si sta ricominciando a vedere un po’ di football italiano anche in TV. Prima o poi quindi la competizione aumenterà e chi sarà preparato sarà vincente, altrimenti si rischia solo di sopravvivere.
Come diceva un vecchio saggio…”questo è il mio pensiero”.

Gipi Puggioni – Ufficio Stampa Crusaders Cagliari